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"Ma è molto difficile non intravedere, dietro la sentenza, qualcosa di altro e di più inquietante. Intanto, la convinzione che il regime di 41 bis debba essere “carcere duro”, come costantemente afferma uno stereotipo privo di qualunque fondamento giuridico.
Il regime speciale, infatti, non prevede in alcun modo una detenzione più afflittiva, bensì solo ed esclusivamente l’interruzione dei rapporti tra il detenuto e l’organizzazione criminale esterna.
Di conseguenza, qualunque misura che renda più vessatoria e intollerabile, o semplicemente più pesante, la vita in carcere è illegale.
Tuttavia, ciò che maggiormente colpisce è l’idea di un’autorità - l’amministrazione penitenziaria - che si ritiene legittimata a interferire con la sfera più intima della persona umana (quella sessuale, cioè), a giudicarla, a vigilare sul suo equilibrio, a sindacare sulle qualità delle sue espressioni, a inibire e selezionare le sue pulsioni.
Il carcere, così, diventa né più né meno che un dispositivo di mortificazione della soggettività umana."
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